La complessità di un albo illustrato
- Angela Catrani
- 25 gen
- Tempo di lettura: 3 min
L'albo illustrato, o picture book, è un medium narrativo potentissimo.
Lo leggo, lo studio, lo vivo ormai da moltissimi anni e ancora e sempre di più mi sorprende.
Forse perché ruota intorno a differenti creatività. Forse perché necessariamente si realizza pienamente solo nell'incontro tra testo e figure.
Si parla tanto di albo illustrato, tra gli addetti e nei corsi di illustrazione. Si parla tanto perché è un concetto che sfugge.
Ogni volta che si pensa di possederne la grammatica, ecco che esce un nuovo prodotto che scardina il senso, che rimette in gioco semantica e visivo.
Pensato erroneamente solo per un pubblico infantile, e un pubblico infantile che non ha ancora accesso alla lettura, è invece un medium narrativo estremamente complesso.
Certo, ci sono molti livelli di libri con figure e anche questa cosa è assolutamente misconosciuta.
Per esempio, ci sono libri molto semplici, sia come testo che come immagini: ciò che dice il testo, l'immagine riproduce. Siamo di fronte non a un vero e proprio albo illustrato, ma a una sua forma semplificata. Questi prodotti sono adatti ai bambini piccoli, che devono imparare a guardare. E spesso, se ben gestiti, possono essere deliziosi.
Però, ciò che ambiziosamente vogliono scrivere e illustrare autori e illustratori è un prodotto alto, dove testo e figure si fondino per raccontare una storia che abbia un sostrato estremamente complesso: ecco che questi tipi di prodotti sono/devono essere per tutti, bambini grandini, adolescenti e adulti. E a ognuno l'albo deve poter raccontare una storia diversa.
Perché "deve"? Perché il lettore è il terzo autore dell'albo illustrato, probabilmente molto di più che nei romanzi.
Il lettore, infatti, mentre guarda e legge, aggiunge la sua esperienza, le sue letture, la sua memoria visiva, all'albo.

Mentre scrivo, ho in mente soprattutto Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak.
L'altro giorno Matteo (mio figlio di 16 anni) a cena ci ha chiesto tutto ciò che sapevamo di Piero della Francesca, pittore rinascimentale umbro.
Ebbene, Max, nel Paese dei mostri selvaggi, a un certo punto è rappresentato esattamente come il giovane davanti alla tenda de Il sogno di Costantino di Piero della Francesca (contenuto in quella assoluta meraviglia del ciclo della Leggenda della vera Croce nella cattedrale di Arezzo).

Se vi ricordate, Max è stanco dopo aver ballato e fatto il diavolo per tutta la notte. Subito dopo decide di tornare a casa.
Nella Leggenda della vera Croce si rappresenta il sogno che Costantino fa subito prima di convertirsi al cristianesimo.
Sendak non rappresenta Max come il re dormiente e "convertito", ma come il giovane assorto davanti alla tenda. Sveglio.

Un pensieroso Max, che si sente solo mentre l'orda di amici bestiali dorme. C'è una profonda connessione tra immagine e testo: una enorme complessità a dispetto del testo lineare.
"𝑂𝑟𝑎 𝑏𝑎𝑠𝑡𝑎!" 𝑔𝑟𝑖𝑑𝑜̀ 𝑀𝑎𝑥 𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑖 𝑚𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑎 𝑙𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑐𝑒𝑛𝑎. 𝐸 𝑀𝑎𝑥 𝑖𝑙 𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑠𝑒𝑙𝑣𝑎𝑔𝑔𝑖 𝑠𝑖 𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖̀ 𝑠𝑜𝑙𝑜, 𝑎𝑣𝑟𝑒𝑏𝑏𝑒 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑢𝑛𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑜 𝑎𝑚𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑡𝑒𝑟𝑟𝑖𝑏𝑖𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒.
𝑃𝑜𝑖, 𝑎𝑙𝑙'𝑖𝑚𝑝𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑜, 𝑑𝑎𝑙𝑙'𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑠𝑒𝑛𝑡ì 𝑎𝑟𝑟𝑖𝑣𝑎𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑏𝑢𝑜𝑛 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑢𝑚𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑠𝑒 𝑑𝑎 𝑚𝑎𝑛𝑔𝑖𝑎𝑟𝑒 𝑒 𝑑𝑒𝑐𝑖s𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑣𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑜𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑠𝑒𝑙𝑣𝑎𝑔𝑔𝑖.
(Nel Paese dei mostri selvaggi, traduzione di Lisa Topi, Adelphi)
Cosa può voler dire Sendak andando a ripescare proprio quell'affresco? Costantino dorme e nel sonno vede un angelo che gli indica il simbolo della croce: nella tradizione si racconta che Costantino svegliandosi affermò che l'angelo gli avesse detto ἐν τούτῳ νίκα (in latino In hoc signo vinces): sotto questo segno vincerai.
Qual è il "segno" che Max aspetta - sveglio - per "vincere" sulla rabbia che lo pervade? Perché mentre i mostri dormono (e come non ricordare il celebre quadro - diventato anche un motto - Il sonno della ragione genera mostri di Francisco Goya? Che poi, a ben guardare, Sendak non può non averlo BEN presente!) Max ragiona.

E il "segno" che arriva è un buon profumo di cose da mangiare. Cibo di casa=madre.
Eccolo il segno: e come sappiamo, quando Max, dopo un lunghissimo viaggio di ritorno, riemerge in camera, la scodella è ancora fumante.
Ed ecco che la persona che sono io, di 50 anni, una professionista dell'editoria, madre di 3 figli, laureata in Lettere, con una buona pratica di Storia dell'Arte, ha messo in moto la lettrice che sono per rileggere, per l'ennesima volta, questo albo. A un bambino, invece, può comunicare altro, DEVE comunicare altro, nelle intenzioni di Sendak.
Ho preso ad esempio un albo che per me rappresenta una BIBBIA di cosa dovrebbe essere un albo illustrato, e mi sono limitata a una sola pagina!
Saggi sugli albi illustrati ce ne sono molti: io trovo che il blog di Anna Castagnoli, Le figure dei libri, sia ancora una delle migliori fonti da leggere e rileggere.
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